La storia del siulp


La Storia del Siulp è un brano di storia d’Italia; non si possono comprendere gli avvenimenti conclusisi con la nascita del sindacato di polizia, astraendo da una analisi dello sviluppo della società italiana in questo dopo guerra, dei rapporti tra i cittadini e le istituzioni dello Stato, e della funzione che la polizia ha svolto nello stesso periodo nel paese.

Il punto centrale di questa analisi, a nostro giudizio, è certamente rappresentato dalla sopravvivenza, nell’ordinamento della repubblica, di istituti e concezioni legate alle caratteristiche autoritarie dei precedenti regimi, non solo del regno d’Italia ma anche degli stati sardi e dalla mancanza di una politica della giustizia penale che si articolasse nella riforma dei suoi settori portanti, magistratura, carceri, polizia.

Per quanto riguarda la polizia è bene ricordare che, per un certo periodo, precisamente dal 1841 al 1847, la sovraintendenza dei servizi di polizia fu affidata, nel regno sardo, al ministero della guerra, in funzione quindi non tanto della tutela dei diritti dei cittadini, quanto della necessità di assicurare la difesa della monarchia dai possibili nemici interni.

Costituitesi il regno d’Italia, gli ordinamenti della pubblica sicurezza vennero articolati secondo il modello organizzativo introdotto negli stati sardi a partire dal 1848, successivamente modificato nel 1852, nel 1854 e nel 1859. Con la estensione degli ordinamenti sardi alle nuove province del 1865, la pubblica Sicurezza risulta ordinata secondo criteri che troveremo mantenuti fino ai tempi più recenti: l’amministrazione della pubblica sicurezza era sottoposta all’autorità del ministro dell’Interno, e per esso dei prefetti e sottoprefetti;

il personale di pubblica sicurezza era suddiviso in due branche, la prima, dei funzionari di P.S. e degli impiegati civili di polizia; la seconda, del personale addetto al servizio esecutivo della polizia amministrativa, giudiziaria, di ordine pubblico, il quale era inquadrato in un corpo armato militarmente organizzato, anche se non faceva parte delle forze armate.

La disponibilità di un corpo di polizia strutturato su un modello paramilitare ne consentiva l’impiego in operazioni di grande polizia nelle province meridionali contro il brigantaggio; oppure negli anni successivi, all’inizio del secolo, dopo la prima guerra mondiale od infine nel secondo dopoguerra, nel contenimento o nella repressione di moti popolari.

Evoluzione della Polizia

Dall’esame delle vicende e delle continue trasformazioni alle quali fu sottoposto l’ordinamento della pubblica sicurezza dal 1865 in poi nasce anche una constatazione, e cioè la difficoltà con la quale la pubblica sicurezza ha cercato la propria collocazione nella società italiana, la quale progrediva mentre lo stato si perpetuava su vecchi ordinamenti amministrativi; la instabilità della struttura della pubblica

sicurezza risulta ancora più evidente se raffrontata alla continuità che l’Arma dei Carabinieri ha potuto affermare, pur vivendo le stesse vicende storiche. La stessa istituzione di una “direzione generale della pubblica sicurezza” si è affermata con difficoltà. Tale organismo, infatti, sorto per la prima volta nel 1860, fu abolito nel 1863, e gli uffici che rie facevano parte vennero posti alle dipendenze del “segretariato generale”dello stesso ministero; fu ricostruita nel 1864, ancora soppressa nel 1868 e definitivamente ripristinata nel 1869.

Il Corpo delle Guardie della P.S.

Nell’organizzazione della pubblica sicurezza italiana, l’organismo più debole e instabile doveva dimostrarsi proprio la parte militarmente organizzata, cioè il corpo armato di polizia. Istituto nel 1852 con la denominazione di “Corpo delle Guardie di pubblica sicurezza”, successivamente al 1861 estese la sua presenza nelle province annesse al regno sardo; nel 1890 assunse la denominazione di “Corpo delle Guardie di città”.

E’ nel 1919, con la istituzione del “Corpo della Regia Guardia per la pubblica sicurezza”, che il corpo di polizia entra a far parte delle forze armate dello stato, con un proprio comando generale. Ma La Regia Guardia ha breve durata; il 31 dicembre 1922, dopo appena 62 giorni dalla “marcia su Roma”e dalla presa del potere, il governo fascista ne decreta lo scioglimento e l’assorbimento da parte dell’Arma dei Carabinieri. Lo scioglimento non avviene senza difficoltà: a Torino, il personale della Regia Guardia si rinserra nelle caserme e si rifiuta di uscirne. Il provvedimento tuttavia viene attuato: il personale che ha raggiunto i limiti di età viene posto a riposo d’ufficio, H rimanente può transitare nell’Arma solo se in possesso di determinati requisiti.

Con lo scioglimento della Regia Guardia, l’amministrazione della pubblica sicurezza rimane composta soltanto dai funzionari ed impiegati civili; alle altre incombenze provvede l’Arma dei Carabinieri. Neppure l’ordinamento del 1922 doveva dimostrarsi duraturo; nel 1925 viene ricostituito il “Corpo degli agenti di pubblica sicurezza”; il personale ha stato giuridico civile, il Corpo ha tuttavia una struttura paramilitare.

Decreto di militarizzazione

Nel 1943, dopo la caduta del fascismo, un provvedimento del governo Badoglio decretò nuovamente l’appartenenza del Corpo di polizia alle forze armate dello stato e l’assoggettamento alla disciplina ed ai tribunali militari; il successivo 2 novembre 1944 fu ripristinata l’antica denominazione di “Corpo delle Guardie di pubblica sicurezza”.

All’indomani della seconda guerra mondiale, l’amministrazione della pubblica sicurezza era ordinata, in sostanza, con gli stessi criteri che avevano presieduto alla sua istituzione nel lontano 1865, e cioè: direzione del servizio, al centro ed alla periferia, affidata ai prefetti;

responsabilità della esecuzione del servizio affidata ai funzionari civili di pubblica sicurezza; servizio esecutivo della polizia amministrativa, giudiziaria e del servizio di ordine pubblico, affidato ad un corpo armato, posto alle dipendenze dirette del ministero dell’interno, ma inserito nelle forze armate dello Stato, ed inquadrato da ufficiali. L’organico del Corpo fu fissato nel 1946 in 40.000 uomini e 900 ufficiali; venne progressivamente aumentato con l’immissione nei ruoli di personale proveniente dal disciolto corpo della polizia dell’Africa Italiana; delle milizie fasciste della strada, ferroviaria, portuale; ed infine con l’arruolamento di personale ausiliario, cioè di personale privo di continuità di impiego, ma con un rapporto a termine, senza garanzia di stabilità di lavoro, privo di alcuni importanti diritti riconosciuti a tutti i dipendenti dello Stato.

Tale massiccio organico ebbe soprattutto la funzione di costituire una forza in grado di fronteggiare la crescente presenza operaia che l’industrializzazione del paese andava addensando in alcune parti del territorio nazionale, soprattutto nel triangolo industriale, nel Veneto, in Emilia Romagna, e nelle maggiori città.

I reparti mobili e celeri furono dislocati nel territorio dello Stato in modo da assicurarne la presenza nelle zone più calde; furono dotati di autoblindo, di armi automatiche di reparto (mitragliatrici e fucili mitragliatori) nonché di mortai. L’addestramento specialistico del personale avveniva anche presso le scuole e nei campi di addestramento dell’esercito. Ne derivò una struttura di grande efficacia operativa, tanto da divenire oggetto di attenzione da parte di polizie straniere; tra gli anni ’50 e ’60, infatti, ufficiali e sottufficiali delle polizie della Tailandia, Indonesia, Siria, Regno libico, frequentarono in Italia corsi di addestramento; le materie di studio erano la guerriglia e controguerriglia, il sabotaggio, gli esplosivi, l’addestramento al combattimento.

All’incremento dei reparti di ordine pubblico non fece riscontro un analogo sviluppo dei servizi preventivi di polizia contro la criminalità, di cui si avvertiva una sempre maggiore necessità soprattutto nelle città più popolate; con l’estendersi del fenomeno dell’urbanesimo, con la concentrazione nelle maggiori città di agglomerati sempre più vasti di popolazione, si faceva strada infatti un nuovo tipo di delinquenza più spregiudicata,

Più incline alla violenza, capace di impiegare tecniche più progredite. Nella polizia si andò creando, a partire dagli anni successivi al 1960, un sempre crescente squilibrio tra le strutture istituite in funzione del mantenimento dell’ordine pubblico e quelle istituite per la lotta alla criminalità.

Altro grave elemento di squilibrio nella organizzazione della pubblica sicurezza dipendeva dalla mancanza di omogeneità tra le varie componenti dell’amministrazione. La presenza di due ruoli direttivi, quello dei funzionari di pubblica sicurezza, e quello degli ufficiali del Corpo delle Guardie di P.S., dava origine a due strutture parallele, la prima facente capo alle questure ed agli uffici di pubblica sicurezza, la seconda articolata nei comandi militari del Corpo, nei reparti celeri e mobili, nella polizia stradale, nelle scuole di polizia.

Entrambe le strutture, quella civile e quella militare, erano poi sottordinate alla potestà dei funzionari dell’amministrazione civile dell’Interno, i cosiddetti “prefettizi”; la dipendenza non era solo funzionale, legata cioè alle funzioni svolte in provincia dai prefetti in quanto rappresentanti del Governo ed autorità di pubblica sicurezza, ma, soprattutto nei riflessi dei funzionari di P.S., era anche gerarchica. Il risultato complessivo era un sistema a tré componenti, ognuna delle quali retta da ordinamenti completamente differenti in materia disciplinare, normativa, economica; la stessa preparazione professionale, le stesse prospettive di carriera erano diverse. Si trattava, in definitiva, di tré anime in una stessa organizzazione e da questa discrasia conseguiva la scarsa funzionalità di tutto il sistema.

Gli anni ’68 e ’69 – le lotte sindacali

Gli avvenimenti verificatisi nel paese successivamente al 1968 vennero ad incidere su una organizzazione già indebolita da gravi elementi di squilibrio e finirono per aggravarne la crisi. In quegli anni, nelle grandi città la criminalità, già in fase di crescita, riceve un ulteriore sviluppo. Il traffico di droga, che negli anni precedenti aveva interessato marginalmente il Paese, trova in Italia un centro di consumo che raggiunge anche le scuole.

Le rapine ed i sequestri di persona vengono esercitate su scala industriale da bande di criminali che hanno propaggini anche all’estero. Ma sono anche anni in cui la società italiana è investita da un profondo processo di trasformazione; vengono poste le basi per la riforma sanitaria e per la riforma della scuola, sono affrontati i temi della riforma della legislazione penale e della magistratura; l’attuazione dell’ordinamento regionale comincia ad incidere sul vecchio stato centralizzato. Nel 1970 viene emanato lo statuto dei lavoratori, mentre le lotte sindacali tendono a far conseguire ad essi una diversa presenza nelle aziende ed una trasformazione dei criteri privatistici di gestione della economia nazionale.

Nascita del fenomeno terroristico

Questi processi producono in tutto il Paese, ma soprattutto nelle grandi metropoli del nord, gravissime tensioni: su queste tensioni si innesca la nascita delle prime organizzazioni terroristiche. Curcio fonda a Milano il “collettivo politico metropolitano”, mentre nel Veneto, intorno a Freda ed a Ventura, si organizza il terrorismo nero: dopo una serie di attentati ai treni, alle ore 16,30 del 12 dicembre 1969, presso la filiale della Banca dell’Agricoltura di Piazza Fontana esplode una bomba, muoiono 17 persone, 88 rimangono ferite.

La sfida del terrorismo trova lo Stato impreparato, le strutture create negli anni ’50 per la controguerriglia non servono, la minaccia viene da un nemico che usa una forma più subdola e diffusa di terrorismo, che si sviluppa e nasconde nelle pieghe delle aree metropolitane.

Per difendersi dal pericolo che si manifesta in forme non previste dai responsabili della difesa del Paese occorre una rete di servizi preventivi di polizia, diffusa su tutto il territorio, rete che non esiste e non si può improvvisare.

Primi fermenti sindacali nella P.S.

Alle forze di polizia viene imposto uno sforzo che si traduce in un aggravamento delle condizioni di impiego dei reparti. Nascono i primi fermenti tra il personale, non solo per la pesantezza del servizio, ma anche per la constatazione che lo stato non è in grado di assicurare una protezione efficace degli uomini impiegati.

Ma il personale di polizia avverte anche un altro limite, il suo isolamento nei confronti della società, nella quale esso rappresenta un “corpo separato”e quindi estraneo; i problemi della polizia restano di quest’ultima, non vengono sentiti come problemi della collettività.

La reazione del personale si esprime con manifestazioni di protesta esasperate, spontanee, come quelle che si verificarono nel 1969 a Milano dopo la morte della Guardia Annarumma, ucciso in uno scontro di piazza. Altre volte la protesta si manifesta con la logica del “corpo separato”che si fa giustizia da sé: è il caso degli sfollagente muniti di un’anima di ferro di cui alcuni agenti si forniscono per usarli contro i dimostranti e dell’impiego dei candelotti lacrimogeni sparati ad altezza d’uomo.

Tuttavia, in quegli anni ed in quelli immediatamente successivi nasce anche una iniziativa politica che si propone di trovare la soluzione dei problemi che affliggono la polizia e che in definitiva sono pagati da tutta la collettività in unica organica riforma della polizia che configuri un diverso status per il personale. L’iniziativa nasce dai poliziotti e trova il collegamento con le forze sociali e politiche; nasce il movimento democratico per la riforma della polizia che si organizza in un “comitato di coordinamento nazionale”ed in un comitato di studio nel quale, accanto al personale di polizia, sono presenti i rappresentanti di tutti i partiti, di quello repubblicano, socialista, comunista, democristiano, liberale, socialdemocratico, del PDIUP; organo del movimento, sul quale si articola il dibattito, è la rivista “Ordine pubblico”diretta dal giornalista Franco Fedeli.

Inizio dell’esperienza unitaria

La Federazione Unitaria CGIL-CISL-UIL offre al movimento tutto il suo appoggio; ciò consente i primi momenti organizzativi di massa. Alla fine del 1974 il movimento esce allo scoperto con l’assemblea dell’Hotel Hilton in Roma, svoltasi con ampia partecipazione di personale; il 7 febbraio successivo si svolge ad Empoli un’assemblea nella quale il contenuto della riforma viene definito nei seguenti punti: l’istituto di polizia deve essere inteso come organizzazione civile a particolare stato giuridico; la sua riforma deve essere inquadrata nell’ambito di una razionale ridistribuzione dei compiti tra tutte le forze di polizia e di un reale coordinamento di esse;

l’azione della polizia deve essere caratterizzata dall’assoluta indipendenza dai partiti; un nuovo ordinamento per tutti i dipendenti civili e militari della P.S., con la contestuale costituzione di un unico ruolo direttivo; inserimento della polizia femminile a tutti i livelli nella nuova organizzazione, con totale equiparazione di funzioni e di trattamento economico e normativo rispetto ai pari grado di sesso maschile; riordinamento dell’istituto basato su un ampio decentramento, in modo da esaltare soprattutto il compito di prevenzione oltre a quello di repressione propri della polizia; divieto di impiego del personale in compiti estranei alle funzioni di polizia; riforma delle scuole di polizia e del reclutamento per garantire un più alto livello di qualificazione professionale; riconoscimento delle libertà sindacali con quelle modalità dettate dalla peculiarità delle funzioni esercitate, tra cui il non ricorso all’esercizio del diritto di sciopero. La negazione ed il superamento della polizia come “corpo separato”, operato dall’interno della istituzione segna non solo un momento rivendicativo, ma un vero e proprio salto qualitativo nella realtà concreta della polizia italiana. Per questo, la fitta rete di incontri tessuta negli anni tra il ’69 ed il ’74 tra poliziotti di grado diverso, di regioni diverse; tra lavoratori e poliziotti,. tra studenti, cittadini e poliziotti costituisce il retroterra profondo del movimento, il suo significato politico: rompere finalmente la “separatezza” del poliziotto rifondandolo come “lavoratore della sicurezza pubblica”, che dibatte ed affronta i problemi del paese insieme a tutti gli altri lavoratori, contribuendo a colmare la storica spaccatura tra stato e società civile.

Conquista della legge di riforma

Impegno del SIULP in relazione alla situazione del paese ed ai compiti della polizia Nel luglio 1975, con la presentazione delle prime proposte di legge da parte dei partiti Comunista e Socialista, la riforma entra in parlamento. Ma la necessità di una riforma tarda ad essere recepita dal governo, il quale, nell’intento di assorbire i fermenti che esistono nella polizia, propone la costituzione dei cosiddetti “Comitati di rappresentanza”: il movimento rifiuta i “comitati dei bussolotti”. Bisogna arrivare al 1976 per notare i primi indizi di un cambiamento di indirizzo; nell’ottobre di quell’anno il Ministro dell’Interno, Cossiga, preannuncia la decisione del Governo di dar corso alla riforma della polizia ed autorizza la convocazione di assemblee nelle caserme ed uffici di P.S. nonché la partecipazione a riunioni esterne per discutere e dibattere i problemi connessi; è consentita anche la costituzione di comitati per dare maggiore funzionalità ed organicità al dibattito. Il Ministro preannuncia anche la presentazione, per il 15 febbraio 1977, dei primi provvedimenti relativi alla riforma. La data del 15 febbraio trascorre però inutilmente e trascorrerà inutilmente tutta la sesta legislatura; i provvedimenti di urgenza per la riforma infatti non verranno presentati, ne vengano discusse le proposte di legge d’iniziativa parlamentare. Il

personale di polizia, dal canto suo, continua ad esercitare una forte pressione a favore della riforma e partecipa con slancio alla costituzione dei “comitati”di base. I^ campagna di adesione al costituendo sindacato di Polizia II comitato di coordinamento diffonde una scheda di adesione al futuro sindacato, da costituirsi quando la legge lo consentirà, un sindacato formato, diretto e rappresentante da poliziotti; nel sottoscrivere la scheda, i poliziotti si impegnano a sostenere la lotta per la riforma nello spirito del programma approvato nel 1975 ad Empoli.

L’adesione dei poliziotti italiani al sindacato, che rivendica un rapporto politico con il movimento unitario dei lavoratori, è entusiasta: essa si aggira sull’80% di media, con punte di adesione, in alcune province, che sfiorano la totalità dei poliziotti. Sulla base delle schede di adesione, vengono eletti nei posti di lavoro e nelle vane province i rappresentanti del personale: il movimento per la riforma rafforza la propria struttura organizzativa; in un’assemblea tenuta a Roma il 14 luglio 1977, viene eletto il nuovo “comitato di coordinamento”nel quale, accanto al “gruppo storico”dei poliziotti promotori, trovano posto i rappresentanti delle nuove leve.

Con le elezioni svoltesi nella primavera del 1977, inizia la settima legislatura. Il partito socialista ed il partito comunista presentano nuovamente in parlamento le proprie proposte di legge, opportunamente aggiornate ma identiche nella sostanza a quelle del 1975. Ma in questi due anni la necessità di procedere ad una riorganizzazione delle forze di polizia ha fatto strada: accanto alle proposte dei due partiti anzidetti si allineano le proposte di legge del partito liberale, democristiano, radicale, repubblicano del PDUP, socialdemocratico. Il Governo Andreotti, nonostante che l’impegno di procedere alla riforma della polizia sia stato assunto nel suo programma, non presenta nessun progetto di legge.

Nel silenzio del governo, la commissione interni della Camera dei deputati nomina un comitato ristretto, incaricato di coordinare le proposte dei vari partiti e di stendere un testo unificato. Nel mese di ottobre del 1977 il testo del comitato ristretto è pressoché ultimato; il 2 ottobre presso il palazzo dello sport di Roma viene indetta una grande assemblea alla quale partecipano alcune migliaia di lavoratori della polizia, giunti da tutta 1 Italia.

L’assemblea è chiamata ad esprimersi sul testo redatto dal “comitato ristretto”della Camera; tra i punti oggetto di dibattito, le norme sul sindacato; i poliziotti chiedono che esse siano conformi ai precetti costituzionali e che al sindacato di polizia sia riconosciuta la libertà di organizzazione sancita dalla Costituzione. La tensione tra il personale è infatti molto elevata; la polizia sta pagando un alto prezzo per la difesa delle istituzioni democratiche, in condizioni di assoluta inferiorità nei confronti dell’attacco terroristico. Nell’anno 1977 infatti cadono: il Brg. Ghedini a Milano, il Brg. Ciotta a Torino, l’Agente Graziosi a Roma, l’allievo sottufficiale Settimio Passamonti a Roma.

Sciopero generale dei lavoratori per fa costituzione del sindacato di Polizia

Per appoggiare la causa dei poliziotti, la Federazione unitaria indice per il 20 dicembre 1977 uno sciopero nazionale di un’ora per tutte le categorie di lavoratori. L’assemblea del 2 ottobre ha una eco favorevole in sede politica: dietro espresso mandato del “comitato ristretto”della Camera dei Deputati, il presidente della commissione interni, On. Mammì, riceve per la prima volta in forma ufficiale il comitato di coordinamento del movimento. Seguono gli incontri con tutti i gruppi parlamentari dell’arco costituzionale, in ordine di tempo col gruppo repubblicano, comunista, socialista, democristiano, liberale, radicale, di democrazia proletaria, del PDUP, socialdemocratico. Tra gli argomenti trattati, quello del riconoscimento della piena libertà sindacale per i lavoratori della polizia; i problemi del coordinamento dei corpi di polizia; la necessità di riconoscere ai questori la pienezza delle funzioni tecniche e di non confondere tra compiti dei prefetti e compiti dei questori; la necessità di norme sulla distribuzione delle forze di polizia sul territorio in funzione degli indici di criminalità e di popolazione; l’esigenza di determinare con sufficiente precisione nella legge di riforma i criteri di massima per il futuro stato giuridico del personale ed i principi fondamentali del trattamento economico.

Prima assemblea elettiva e costituzione degli organismi sindacali

II 10 ed 11 dicembre 1977 viene convocata a Roma, presso la “Domus Pacis”, l’assemblea elettiva che procede all’elezione del comitato esecutivo nazionale, del direttivo nazionale e dei membri del consiglio generale; nella mozione finale, l’assemblea sollecita le forze politiche ad attuare le riforme di struttura necessaria per una migliore efficienza delle forze di polizia, ed auspica “la partecipazione democratica di tutti i cittadini per l’isolamento delle forze reazionarie che attraverso la strategia della tensione ed il terrorismo, tentano la destabilizzazione delle istituzioni democratiche e repubblicane”.

L’acuirsi del fenomeno terroristico

II 16 marzo 1978, le brigate rosse, in Via Fani, attaccano a colpi di mitra l’auto dell’On. Aldo Moro, che viene rapito, ed uccidono cinque uomini della sua scorta: il M.llo CC Oreste Leonardi, il Brg. P.S. Francesco Zizzi, l’appuntato CC Domenico Ricci, gli agenti Raffaele Iozzino e Giuliano Rivera. Il 9 maggio successivo, a 55 giorni del rapimento, l’On. Moro verrà trovato assassinato in un auto abbandonata in Via Gaetani. L’impatto dell’avvenimento è enorme e pesa su tutta la vita politica della repubblica. Nella stessa giornata del 16 marzo si presenta in parlamento il nuovo governo, presieduto dall’On. Andreotti: nel programma è posta in rilievo la riforma della pubblica sicurezza, ed il riconoscimento che il problema è da troppo tempo sul

tappeto, mentre il ritardo a dargli soluzione “non giova ne alla efficienza dei servizi ne ad una chiara posizione dei diritti e dei doveri professionali”. Il richiamo alla efficienza dei servizi di polizia ed al ritardo nello attuare la prevista riforma da parte del Presidente del Consiglio è pertinente; in un documento dell’esecutivo nazionale del movimento, inviato allo stesso Presidente del Consiglio, al Ministro dell’Interno, alle segreterie dei partiti, si esprime una serie di considerazioni e concrete proposte che riguardano la ristrutturazione dei servizi informativi, l’articolazione dell’UCIGOS, il coordinamento tra autorità giudiziaria, servizi informativi, organi di polizia; la massima affidabilità dei servizi di scorta di sicurezza e una accurata ricognizione delle scorte già concesse; la istituzione di centri operativi comuni tra le varie forze di polizia; la predisposizione di piani comuni di intervento: la istituzione, a livello regionale, di organismi di coordinamento tra le forze di polizia; il riordinamento e la intensificazione dei servizi di “controllo del territorio”; il recupero del personale di polizia distolto dai servizi operativi e la sua riqualificazione attraverso appositi corsi.

Tuttavia, nonostante le assicurazioni del Presidente del Consiglio, la legge di riforma non viene approvata; una serie di avvenimenti, tra cui un referendum popolare, una tornata di elezioni amministrative, le dimissioni del Ministro dell’Interno, le dimissioni del Presidente della Repubblica, contribuisce ad allontanare nel tempo la definizione del problema. Infine, l’anticipato scioglimento delle Camere, all’inizio del 1979, azzera tutto il lavoro svolto fino a quel momento dal Parlamento.

L’inizio dell’ottava legislatura, a metà del 1979, vede il personale di polizia in stato di tensione e di esasperazione, sia per la mancata attuazione degli impegni del governo in relazione alla riforma, sia per gli scarsi risultati nella lotta al terrorismo. Cadono uccisi altri cittadini: il 24 gennaio è assassinato Guido Rossa, operaio, delegato sindacale dell’Italsider di Genova; il 29 gennaio cade ucciso il giudice Alessandrini, l’omicidio è rivendicato da “prima linea”.

Le vittime tra le forze di polizia salgono ancora: il 19 gennaio, a Torino, e ucciso Giuseppe Lorusso, Agente di custodia; il 1 3 marzo, a Bergamo, Giuseppe Guerrieri, appuntato dei carabinieri; il 3 maggio, un commando delle “brigate rosse”composto da ben tredici terroristi, assalta la sede romana della democrazia cristiana in piazza Nicosia, muoiono 1 brig. Antonio Mea e l’Agente Piero Ollanu.

Il colpo di mano è indicativo della sicurezza con la quale i terroristi si muovono, nell’assenza di una credibile reazione delle forze di polizia, e rappresenta un salto di qualità a livello operativo; per tutto il tempo che dura l’azione “le brigate rosse”occupano in effetti una porzione di territorio italiano.

Il 19 maggio morirà a Milano l’Agente della DIGOS Andrea Campagna e, nel corso dell’anno, cadranno ancora il T.col. Antonio Varisco dei CC., l’Agente di P.S. Michele Granato, il mar.llo Vittorio Battaglin ed il carabiniere Mario Tosa; il Mar.llo Domenico Taverna ed il mar.llo Mariano Romiti, entrambi della Pubblica Sicurezza. Il primo luglio, nei locali del “Supercinema”di Roma, un’assemblea dibatte questa situazione di stallo e la grave responsabilità del Governo di fronte al paese ed alle forze di polizia. L’assemblea prende in esame l’ipotesi della immediata costituzione

del sindacato e l’inizio del tesseramento, ove la riforma non sia approvata in tempi credibili.

Disegno di legge governativo sulla riforma di P.S.

L’8 novembre 1979 il Governo presenta finalmente alla Camera il suo disegno di legge: è la prima volta, da quando è in corso nel paese e tra le forze politiche la discussione sulla riforma della polizia, che il Viminale fa conoscere il suo pensiero sull’argomento. I punti di dissenso sono numerosi; il disegno di legge, infatti:

prevede la sottrazione delle funzioni di autorità di P.S. ai sindaci e la loro attribuzione all’Arma dei Carabinieri; è insufficiente per quanto riguarda le norme sul coordinamento, non sono previsti centri operativi comuni tra le varie forze di polizia:

attribuisce ai prefetti poteri gerarchici nei confronti del personale di polizia; decapita la carriera direttiva di polizia, abolendo il livello di dirigente generale; tenta di trasferire i poteri contrattuali dal sindacato al consiglio di polizia; attribuisce alla magistratura la qualità di organo arbitrale nelle controversie tra sindacato e governo;

non prevede per il personale di polizia l’esercizio di numerosi diritti in materia sindacale, che sono invece previsti per le altre categorie del pubblico impiego; è incompleto per quanto riguarda le norme sull’ordinamento del personale, che è addirittura punitivo per alcune categorie.

Per tutto il tempo che dura la discussione sul disegno di legge presentato dal governo, sia nelle commissioni che in aula, prima alla Camera dei deputati, poi al Senato, il movimento segue con le sue proposte di miglioramento del testo l’iter dei lavori parlamentari.

Esso, tuttavia, rimane anche vigilante: troppe sono state le delusioni che il personale di polizia ha ricevuto in tanti anni di attesa, perché si possa avere fiducia che questa volta la legge di riforma possa giungere al traguardo. Sulla scia delle decisioni prese nell’assemblea del 1″ luglio 1979, il movimento si prepara alla formalizzazione del sindacato, ed al tesseramento. Il 24 e 25 novembre ’79, il consiglio generale, riunitosi a Vico Equense, approva il progetto di statuto, redatto da una commissione di cui aveva fatto parte anche il mar.llo Romiti, assassinato, come si è riferito, dalle brigate rosse.

Viene anche decisa la convocazione di una assemblea, preceduta da una ampia consultazione dei lavoratori della polizia, per l’approvazione definitiva dello statuto e per aprire la campagna per il tesseramento. La Federazione Unitaria appoggia con fermezza la decisione presa a Vico Equense; le forze politiche dimostrano di aver compreso l’avvertimento. Il Ministro dell’Interno, in una riunione del Consiglio dei Ministri del 18 gennaio ’80 deplora l’iniziativa, ma fornisce assicurazioni che questa volta e intenzione del Governo di percorrere rapidamente le tappe necessario per l’approvazione della legge.

Nel frattempo, il movimento dei poliziotti democratici stabilisce rapporti con i colleghi europei. Il viaggio in Germania di una delegazione dell’esecutivo nazionale,

su invito della fondazione “Ebert”, è l’occasione per avere utili contatti con i dirigenti del sindacato tedesco di polizia e per porre le premesse per la futura adesione del sindacato italiano alla UISP, la unione europea dei sindacati di polizia, che organizza 14 sindacati con circa mezzo milione di iscritti.

Il 14 aprile l’esecutivo, assieme alla segreteria della federazione unitaria, è invitato ad un incontro col Ministro dell’Interno per una verifica di alcuni punti della legge di riforma che sono ritenuti dal personale di polizia ancora insoddisfacenti. L’incontro rappresenta una inversione di tendenza rispetto alla precedente linea politica governativa, che fino ad allora non solo ha evitato di formalizzare i rapporti con il sindacato unitario ma ha privilegiato i rapporti con il sindacato autonomo. La presenza della segreteria della federazione unitaria all’incontro serve a sottolineare il senso della evoluzione avvenuta.

Approvazione dello statuto – nascita del SIULP

II 4 maggio 1980, si svolge finalmente, l’annunciata assemblea presso il cinema Adriano di Roma: nasce ufficialmente il SIULP, ne viene approvato lo statuto in un clima di grande entusiasmo; per quanto riguarda il tesseramento, pur senza procedere alla materiale distribuzione delle tessere, l’assemblea stabilisce di considerare aperta la campagna, in vista dello svolgimento del 1° congresso nazionale del SIULP, che rappresenta il prossimo appuntamento per tutti i lavoratori della polizia. L’esecutivo nel frattempo, è presente nell’ultima fase dei lavori parlamentari, con le sue proposte di miglioramento del testo in discussione. La Camera dei deputati, nella seduta del 18 luglio, approva finalmente il disegno di legge, che ora passa all’esame del Senato. Quest’ultimo procede rapidamente, apportando al testo numerose modifiche, che ne rendono necessario il rinvio alla Camera, la quale, nella seduta del 25 marzo 1981, lo approva definitivamente. Pubblicati il 10 aprile 1981 sulla gazzetta ufficiale della Repubblica n. 121, dal 25 aprile la riforma della polizia diviene legge dello Stato.

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